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Questo mese nella mia rubrica di “Bell’Italia” vi accompagno da uno dei protagonisti della viticoltura salentina, il vulcanico Paolo Leo, che ha portato agli apici delle guide le sue suadenti versioni degli autoctoni Negroamaro, Malvasia Nera e Primitivo di Manduria.
Nel numero di aprile di “Italia a Tavola” in Giri di Vite, invece, mi concedo una piccola digressione, frutto del mio passato di musicista e critico musicale, dedicata ad una virtuosa commistione fra suoni e sapori dove vi racconto alcuni dei momenti più significativi del quarantennale del festival Printemps des Arts di Monte-Carlo.
Paolo Leo: i vitigni autoctoni e l’essenza enologica del Salento
Una bella storia di tenacia iniziata nel 1989 dalla vena imprenditoriale del giovane Paolo che alle nozze con la sua amata Roberta (la forza zen della famiglia) chiede agli invitati non regali ma di contribuire a realizzare il sogno di acquistare un piccolo pezzo di terra dove produrre vino.
Seguono i primi tour al Vinitaly e grazie alla tracimante energia e alla qualità dei vini l’azienda cresce insieme alla sua coesa famiglia.
Con l’amore verso le proprie radici, la competenza enologica e tutti e quattro i figli inseriti in azienda, il primogenito enologo Nicola, Stefano e i gemelli Alessandro e Francesco, oggi la Paolo Leo è una delle cantine private più rappresentative del Salento.
70 ettari con quartier generale a San Donaci nel Parco del Negroamaro e dependance a Monteparano, nel cuore produttivo del Primitivo di Manduria, entrambe aree di vocazione viticola millenaria.
Accoglienza enoturistica da ospiti di casa e attenzione per la sostenibilità economica, etica e ambientale del proprio lavoro (con tanto di certificazione Equalitas) giustificano una sosta non frettolosa.
Per farsi raccontare da Paolo i suoi vini, circondati dalle botti, i capasoni (gli antichi otri in ceramica per conservare vino e olio), la Vespa vintage delle prime consegne e la parete di bottiglie della suggestiva sala degustazione.
Apprezzando gli alfieri del territorio come l’Orfeo, Negromaro in purezza da vigne cinquantenarie, il Passo del Cardinale, suadente Primitivo di Manduria, Mora Mora, Malvasia Nera in purezza e innovazioni come il Mormora, primo metodo classico pugliese ad essere affinato sott’acqua, nella splendida riserva marina di Porto Cesareo, ultima fatica di Nicola.
Gioielli di famiglia che declamano l’ode alla generosa terra salentina.
Printemps des Arts di Monte-Carlo
Nel nome della terra fra suoni e sapori
La presenza al Printemps des Arts di Monte-Carlo di uno dei più grandi chef al mondo come Yannick Alléno, un mito della cucina francese con il suo parigino Pavillon Ledoyen, struttura indipendente più stellata al mondo, ci consente in questo spazio una digressione fra le assonanze rituali fra cibo, vino e musica.
Affinità che hanno visto dialogare, nella meravigliosa cornice della Salle Belle Époque dell’Hôtel Hermitage di Monte-Carlo, il 55enne maestro francese con il virtuoso violino di David Haroutunian.
Fra percezioni gustative e sonore la performance a quattro mani ha rappresentato uno dei tanti eventi originali, assemblati dall’esperto direttore artistico Bruno Mantovani, per festeggiare, dal 13 marzo al 4 aprile, il quarantennale del Printemps des Arts.
Nel week end di apertura, visto il tema scelto quest’anno - il rapporto fra uomo e natura, evidenziato fin dal titolo Chants de la Terre - si è potuto assistere al poetico sogno ecologico del film di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado Le Sel de la Terre, seguito da momenti artistici che hanno invitato, per dirla con le parole della principessa Caroline di Monaco, “…a percepire ciò che è prezioso, raro, fragile nel mondo che ci circonda”.
E in questo sottile fil rouge il cartellone ha spaziato fra generi, epoche musicali e multidisciplinarietà artistica spostandosi nei luoghi più suggestivi del Principato.
Sempre all’insegna di un’idea innovativa. Come quella che ha associato l’Ensemble Gilles Binchois e il sassofono contemporaneo di Sandro Compagnon dialogare fra le Sequenze di Luciano Berio e il Requiem del maestro più rappresentativo della scuola rinascimentale fiamminga, Johannes Okeghem.
O come la prima mondiale di Opéra di Sophie Lacaze, partitura da camera ispirata alla cultura aborigena australiana con riflessioni sull’incerto destino ecologico del nostro pianeta, con Bruno Mantovani nel ruolo di direttore d’orchestra dell’Ensemble Orchestral Contemporain.
Insomma un degno quarantennale da festeggiare, per rimanere in tema monegasco, magari con un leggiadro Rosé Côtes de Provence Baron de Monte-Carlo, griffe enologica di Christian Louis de Massy, figlio della principessa Antoniette di Monaco.
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Giuseppe De Biasi
In questo blog vi accompagnerò in giro per l’Italia e in Europa, per parlarvi di vino, cibo e viaggi, alla scoperta dei miei luoghi del cuore e delle affinità elettive che mi legano a piccoli appassionati viticultori come a blasonate firme del vino.
Come giornalista professionista e sommelier da circa trent’anni curo rubriche di vino, enogastronomia e turismo su importanti riviste di settore (Bell’Italia, Bell’Europa, InViaggio, Italia a Tavola).
Ma ciò che più mi entusiasma raccontare sono le storie che si nascondono dietro ogni bottiglia. Di queste vi parlerò nei miei articoli con suggerimenti per le degustazioni, gli abbinamenti gastronomici, consigli per i vostri viaggi alla scoperta del fascinoso universo del vino.
Calici in spalla, dunque, si parte!